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Conoscevo Longarone: un ridente paese steso
felicemente nella verdeggiante Valle del Vajont. La statale
Alemagna lo taglia in due parti: una inerpicata sulla montagna;
l'altra, con le abitazioni, la ferrovia e la zona industriale,
distesa a valle. Vi sostavo tutte le volte che da Padova, dove
lavoravo per la Polizia Scientifica, mi recavo a Cortina: la fermata
era d'obbligo per gustare il rinomato gelato di produzione
locale. La sera del 9 ottobre, era da poco passata la mezzanotte,
fui svegliato da un continuo campanellio alla porta di casa. Fuori,
una campagnola con autista il quale sollecitava a sbrigarmi e
seguirlo per un'emergenza. Partimmo conoscendo solo la destinazione
ma non il motivo preciso dell'urgenza. Giunti alle porte del paese,
una frenata particolarmente brusca mi fece dare una capocciata al
parabrezza della campagnola: l'autista non aveva più visto la
strada. Scesi dall'automezzo, con orrore notammo alla luce dei fari
che eravamo sul bordo di una grossa voragine. Munitomi di torcia
elettrica, m'incamminai a piedi compiendo un largo giro. Il fascio
di luce della torcia cominciò a mostrarmi un terreno dissestato e
brullo. Secondo le mie previsioni dovevo trovarmi nei pressi della
stazione ferroviaria. Vi trovai dei binari attorcigliati come se
delle mani giganti, con forza sovrumana, si fossero divertite ad
usare i binari per fare dei fiocchi tipo quelli usati per abbellire
i pacchi dono. Non vi era anima viva. Ma ecco che il fascio della mia
torcia illuminò una figura umana che si aggirava tra i detriti.
Avvicinandomi notai che era un vecchio contadino dal volto bruciato
dal sole e solcato da profonde rughe che esprimevano lunghi anni di
una vita di duro lavoro: "Buon uomo, dov'è Longarone?" chiesi. Non ricevendo risposta, gli illuminai il
viso: le profonde rughe erano solcate da grosse lacrime che
scendevano giù dal mento passando per la bianca e ispida barba.
Senza proferire parola, il vecchio tese un braccio indicandomi la
Valle. Poi, singhiozzando, disse: "Ieri sera era qui ed in
questo posto doveva essere casa mia!". "Ma cosa è
successo?" Continuando a piangere il vecchio mi raccontò: "Ho
lasciato il paese all'imbrunire. Ho una baita in montagna con delle
bestie. Sono andato ad accudirle; i miei figli si sono rifiutati di
venire perché c'era la nazionale in televisione. Finito i lavori
stavo per far ritorno quando ho avvertito uno spostamento d'aria
accompagnato da un forte boato: ho creduto si trattasse di un
terremoto. Quando sono arrivato qua non ho trovato più
niente!" Le nere montagne cominciarono ad intagliarsi sul bianco
lenzuolo dell'alba. Con l'arrivo dei primi soccorsi la valle iniziò
a popolarsi. Freneticamente si iniziò subito a scavare con la
speranza di salvare qualche vita. Misi in funziona la cinepresa
e, ad intervalli, l'apparecchio fotografico. Le prime foto non mi
riuscirono bene: la luce del giorno era ancora scarsa ed io ero
costretto ad usare tempi lunghi e diaframma aperto. Nel fotografare
quell'immane disastro l'emozione era talmente violenta che oltre a
tremare, gli occhi pieni di lacrime non mi permettevano di mettere a
fuoco l'immagine. Ricordai che qualcosa di simile la provai
durante la guerra. Nel giugno del 1942 Taranto subì un violento
bombardamento. Obiettivo: Porta Napoli. Sul piazzale dove oggi sorge
il ristorante "Al Gambero", vi erano molte case dove abitavano i
miei amici più cari. Al mattino, avanti ai miei occhi, si presentò
uno spettacolo terrificante: al posto delle case solo mucchi di
macerie e lì persi quasi tutti i miei amici. Anche se sono
trascorsi tanti anni solo pensando a quel giorno non riesco a
trattenere le lacrime. Nessuno ricorda quelle vittime. Sul posto
non vi è un monumento, una targa, una semplice scritta:
NIENTE! Per questo ho accettato con slancio di collaborare con la
Pro Loco di Longarone per creare, con le mie foto, varie
pubblicazioni ed una mostra permanente intitolata "Per non
dimenticare". A Longarone il 40° anniversario della tragedia del
Vajont (1963-2003) è stato ricordato con una lunga serie di
iniziative. culminate il 9 ottobre scorso, giorno del disastro, in
una solenne commemorazione per onorare la memoria di quanti, vittime
innocenti, non sono più fra noi e per trarne motivo di nobile e
rinnovato impegno per i superstiti e per le nuove
generazioni.
© Lorenzo Manigrasso
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